Forbici che tagliano catene
Se dovessimo indicare un luogo simbolo di tutti i problemi del mezzogiorno e del fallimento totale delle istituzioni rispetto alle potenzialità del nostro meridione Castelvolturno sarebbe il luogo ideale. Chilometri di costa ormai compromessi, dove si è costruito fino al bagnasciuga, una pineta mediterranea divisa dalla riva del mare da dune di sabbia che ricordano paesaggi esotici del nord Africa, una popolazione di immigrati che tra regolari e irregolari supera quella degli italiani. Il posto che tutti gli immigrati africani arrivati in Italia conoscono. Basta pensare che proprio qui morì Miriam Makeba, da tutti conosciuta come Mama Africa. La cantante più conosciuta d’Africa infatti, venne per un concerto organizzato in occasione di una commemorazione della strage di Castelvolturno, quando un gruppo di fuoco di Setola, il famigerato esponente del clan dei casalesi, uccise 6 africani innocenti davanti ad una sala giochi, solo per mostrare ai nigeriani convolti nel traffico di stupefacenti chi comandava in zona. Qui in appena quarant’anni la popolazione è cresciuta da meno di quattromila a cinquantamila abitanti e ogni anno l’anagrafe registra un migliaio di nuovi residenti e più o meno altrettanti che vanno via. La maggior parte sono appunto africani. Qui, da un’associazione di volontariato che opera da anni con servizi di ambulatorio medico rivolti soprattutto alle donne africane vittime della tratta e della prostituzione e che porta il nome di Jerry Masslo, un rifugiato sudafricano che scappò in Italia e fu ammazzato da una banda di criminali nelle terre di Villa Literno, a pochi passi da Castelvolturno, è nata una cooperativa sociale che ha messo in piedi un progetto speciale chiamato Made in Castelvolturno. Made in Castelvolturno non è solo un progetto di integrazione culturale, ma piuttosto un laboratorio creativo che valorizza la diversità come risorsa, una realtà imprenditoriale e sociale multietnica e innovativa. In una casa confiscata alla camorra, anzi ad una donna camorrista, (Pupetta Maresca, che in una fiction televisiva venne interpretata da Manuela Arcuri che la trasformò quasi in un eroina) un gruppo di donne, italiane e africane (con una storia difficile alle spalle di cui non preferiscono parlare) hanno creato una sartoria sociale. Abiti ed accessori realizzati con stoffe africane acquistate da varie ONG e disegnati secondo lo stile occidentale. Tutti i capi sono realizzati a mano e con vecchie macchine per cucire con una cura scrupolosa per i dettagli. Organizzano sfilate in giro per l’Italia e permettono così alle ragazze coinvolte, che nel frattempo sono diventate sarte artigianali d’eccellenza, di ritrovare la loro dignità attraverso una vera e propria attività lavorativa. Tra le foto proposte, una parte è su Castelvolturno e una parte è focalizzata sulla sartoria. Tra queste ultime anche alcune foto scattate a ragazze volontarie della sartoria che hanno indossato gli abiti per un giorno in luoghi simbolici di Castelvolturno.