N.C.O. COS'E PAZZ....continua a leggere
N.C.O. “Cos’e pazz” Casal di Principe, S. Cipriano d’Aversa, Castelvolturno, Sessa Aurunca, Aversa. Oggi, questi non sono i luoghi dei personaggi di Gomorra. Oggi questi luoghi sono il regno di Erasmo, Arcangelo, Peppe Claudio, Michele, Sonia, Felicetta, Gaudenzio, Rachele, Michele e di molti altri amici. Parliamo di persone “svantaggiate”, per lo più con disturbi mentali di varia natura, molti addirittura considerati dal servizio sanitario come socialmente pericolosi. Persone considerate per anni un problema per la società, persone ai margini, spesso definiti “ultimi” o “diversi”. Ebbene, in queste zone, note alle masse per ben altri scenari e per altri protagonisti, alcuni terreni e molte ville, prima di proprietà della camorra e avamposti di sopraffazione, violenza ed economia criminale, sono ora luoghi di riscatto, libertà, socializzazione, impegno civile, economia sociale e, al di la di ogni altro valore, sono luoghi di dignità. E’ attualissimo nel mondo politico e in quello dell’antimafia il dibattito relativo alla gestione dei beni confiscati. Si stima che il valore dei beni confiscati alle mafie in tutta Italia e non utilizzabili dalla collettività risale a circa due miliardi di euro. Ville, appartamenti, terreni e castelli che, grazie ad una burocrazia lenta e farraginosa e ad una politica spesso volutamente assente, rimangono, di fatto, nel possesso delle famiglie dei boss o delle banche. Le storie delle cooperative che tento di raccontare in questo reportage fotografico, invece, sono totalmente diverse, sono l’esempio di come si può puntare su una gestione del bene comune, (perché un bene confiscato è, a tutti gli effetti, un bene da restituire alla collettività) può funzionare, e bene. Può funzionare attraverso percorsi economici etici e virtuosi, che puntano al recupero delle persone che sono rimaste indietro e, attraverso ciò, a recuperare il territorio, restituendogli quello che il sistema camorristico gli ha rubato per decenni. Le cooperative che gestiscono queste realtà hanno fatto del metodo Basaglia la pietra d’angolo sulla quale costruire tutta la loro opera, mettendo al centro di ogni progetto e di ogni attività la persona, l’uomo. Hanno ridefinito il ruolo della cooperazione sociale all’interno di un sistema che tendeva ad istituzionalizzare le persone con sofferenze mentali, virando verso un percorso che punta al recupero e alla restituzione delle abilità e dei diritti. Ed è così che molte persone sono riuscite a fare il passaggio da utenti delle cooperative a soci delle stesse. Per molti di loro, infatti, si è partiti da gruppi di convivenza finanziati dai cosiddetti budget di salute per uomini e donne con problemi mentali- spesso recuperati dai percorsi tristi del sistema sanitario pubblico come gli O.P.G.- per arrivare a degli stati di riappropriazione della “normalità”. Per normalità qui si intende aiutare queste persone a recuperare vecchie relazioni personali e a tesserne di nuove, ma significa anche tentare un inserimento nel mondo del lavoro e della società. Inoltre, grazie all’affidamento dei beni confiscati alla camorra, che spesso le cooperative hanno completamente ristrutturato a proprie spese e col sudore della propria fronte, oggi si lavora per trasformare la cultura della criminalità in cultura dell’impegno civile, perché è qui che arrivano centinaia di giovani volontari al’anno, da tutta Italia, per formarsi e per dare una mano. E’ qui che si trasforma il linguaggio di cultura camorristica in linguaggio di speranza e di riscatto; e così N.C.O, che per anni è stata Nuova Camorra Organizzata, oggi è Nuova Cucina Organizzata al centro di S. Cipriano d’Aversa, il comune dove è nato Antonio Bardellino, che viene considerato dalle cronache il fondatore di uno dei clan mafiosi più spietati e potenti di sempre. Ed è quì che Feliciana e Paoletto, anni fa con complicati problemi di relazione, intrattengono gioiosi gli ospiti del ristorante e sono diventati i re incontrastati della sala. E’ qui che i terreni, dove per anni si tentavano lottizzazioni criminali, sono diventati campi coltivati biologicamente e lavorati con amore da Erasmo, da Michele o da Peppe. Ma queste cooperative hanno capito che la criminalità organizzata si combatte proprio organizzandosi, facendo rete, condividendo sogni e progetti comuni. Pochi anni fa alcune di queste realtà hanno pensato di unirsi in un consorzio e hanno dato vita ad una NCO ancora più ampia. Abbandonata definitivamente la NCO di mafiosa memoria, oggi NCO è andata anche oltre la nuova cucina organizzata ed è diventata Nuovo Consorzio Organizzato, promosso dal comitato Don Peppe Diana (il comitato simbolo dell’antimafia locale e che porta il nome del sacerdote ucciso dalla camorra nel 1994). E così, i prodotti coltivati a mano dagli “ultimi” sono finiti un progetto che quest’anno ha avuto un successo impensabile, chiamato “Facciamo un pacco alla camorra”. Facciamo un pacco nel gergo napoletano significa imbrogliare, vendere qualcosa di fasullo. In questo caso invece il pacco lo si fa a chi per anni ha distrutto un territorio e la sua economia attraverso prodotti di qualità che nascono proprio nei beni confiscati alla camorra. Ma le cooperative della NCO non lavorano solo su beni confiscati. Alcune lavorano anche su beni comuni restituiti alla collettività. Una di esse opera con ex tossicodipendenti e persone disagiate proprio in un settore ristrutturato dell’ex manicomio di Aversa, un edificio enorme e antichissimo, che nella restante parte è rimasto abbandonato e crolla a pezzi. Nel settore affidato alla cooperativa, invece, oggi c’è una fattoria sociale chiamata “Fuori di Zucca. Tutto questo è NCO. E’ un progetto di vita, di passioni comuni che si incontrano e si sposano, ed è un progetto coraggioso, non soltanto per i diversi atti intimidatori che alcune cooperative hanno subito nel corso degli anni e, quindi, per la difficoltà di fare antimafia ed economia sociale allo stesso tempo , ma perchè è un progetto economico alternativo che fino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile nelle terre di Gomorra. Per capire dove è arrivato questo sogno basta dare un occhiata ai numeri dell’iniziativa “Facciamo un pacco alla camorra”. Nel periodo natalizio il consorzio è riuscito a vendere quasi diecimila pacchi e duemilacinquecento sono stati acquistati dalle caserme della guardia di finanza in tutta Italia. Molti sono stati acquistati persino in Europa, dopo una presentazione del pacco al parlamento europeo. Ma al centro di tutto questo c’è sempre la persona. La persona con i suoi disagi, psichici, fisici o comportamentali e che qui diventa il vero boss, il vero padrone di casa. I ragazzi che hanno creduto in un sogno del genere - in un contesto dove la camorra continua a far sentire il proprio fiato puzzolente sui processi economici e sociali e dove politica e burocrazia non sempre aiutano, ma spesso ostacolano- si considerano più matti delle persone per le quali lavorano. Il loro sogno, constantemete in evoluzione, da queste parti potrebbe essere considerato come il sogno di un matto, come “cos’e pazz”, roba da matti. E così anche io, attraverso l’obiettivo della macchina fotografica, ho cercato di raccontarle mettendo al centro le persone sulle quali ruota la missione delle cooperative come Eureka, Agropoli, La forza del silenzio, Un fiore per la vita o La Casa di Alice. I loro sguardi, il loro desiderio di riscatto e le loro relazioni sono stati per me momenti emotivamente impareggiabili. Con loro ho trascorso diverse giornate e molti di loro, oggi, sono miei amici carissimi. Tutto quello che ho assaporato in questi mesi accanto a loro rende orgoglioso anche me, che in questi luoghi sono nato e cresciuto. Tutto questo mi fa sperare. E sperare, in queste terre, sembrava davvero difficile. A tutti loro e ai matti che credono in questo sogno è dedicato questo progetto.