Terra Dei Fuochi è uno di quei progetti che rischi di non terminare mai. Quando una storia colpisce la tua terra, i tuoi parenti, i tuoi amici e sai che potrebbe colpire i tuoi legami più stretti o te stesso da un momento all’altro, o provi a non pensarci e fai finta di niente, oppure cominci ad occupartene e non la smetti più. Io ho cominciato a occuparmi del fenomeno, ormai noto a tutti come Terra dei Fuochi, nel 2012, quando mi apprestavo a lasciare il lavoro come praticante avvocato in uno studio legale e trovai il coraggio di dedicare tutto il mio tempo e tutte le mie risorse a quello che amavo fare: la fotografia e più precisamente il photoreportage. Dedicare tuto il mio tempo alla fotografia, però, per anni ha significato dedicare quasi tutte le mie risorse ad un’unica causa, ad una storia e alle innumerevoli altre storie di vita (e a volte di morte) che ad essa sono intrecciate. Questo progetto non è mai stato pensato come un progetto “senza fine”. Forse non è mai stato pensato come un vero e proprio progetto. E’ cominciato semplicemente guardandomi intorno e cercando di “vedere” con un occhio diverso e più attento. E’ bastato allenarlo l’occhio, a non abituarsi. A non abituarsi a percorrere i chilometri di asfalto del cosiddetto Asse Mediano (un reticolo di strade a percorrenza veloce che attraversano metà della provincia tra Napoli e Caserta) senza far caso a quei fumi neri che ti appaiono all’orizzonte. Cercando di non abituarti a vedere interrotto lo skyline delle bellissime campagne che circondano i luoghi dove sei cresciuto con delle piramidi nere che nascondono veleni camuffati da eco-balle. Cercando di non abituarlo alla vista dei cumuli di rifiuti speciali o industriali, spesso dati alle fiamme, che giacciono sui cigli delle stradine di campagna dietro casa tua, mentre vai a fare jogging cercando aria pura. Poi ci sono cose per le quali devi sforzarti a non abituarti e che l’occhio non può vedere, ma si sentono. Si sentono col naso, di notte, se abiti nelle periferie e dalla finestra aperta, in piena estate, ti arriva la puzza nauseabonda di un rogo tossico o di quella fabbrichetta che in alcuni periodi dell’anno produce chissà cosa senza rispettare le più banali regole di sicurezza ambientali o di quella discarica che doveva essere solamente temporanea durante l’interminabile periodo di crisi dei rifiuti in Campania e che invece, in quel posto ci è rimasta per decenni senza mai essere bonificata. Si sentono dalla voce delle persone che incontri la mattina al bar quando prendi il caffè, oppure fuori chiesa, al calcetto, in ufficio, quando tra una cosa e l’altra ti dicono che un’altra persona che conoscevi è morta. E se provi a chiedere il motivo il più delle volte ti viene detto qualcosa tipo: “ E come vuoi che sia morto? Il “brutto male”. Quando cominciai a fotografare tutto questo non mi sentivo un vero e proprio fotografo. Non avevo ancora visto una mia foto pubblicata su un giornale ma sentivo che la fotografia poteva aiutarmi ad essere impegnato in questa storia e ad essere utile in qualche modo. Così non mi sono limitato a fotografare ma ho cominciato a militare in questa lotta, in prima persona, insieme a tante donne e a tanti uomini di buona volontà della mia terra che oggi sono miei grandi amici e che non si sono mai arresi. Insieme a padre Maurizio Patriciello, un prete, un semplice prete di periferia che oggi è un simbolo di questa storia, quello più riconoscibile, che mi esortava continuamente a documentare e che le mie foto le stampava e le portava con se’ ogni volta che andava a parlare con questo o quel politico di turno ad implorare giustizia. _Insieme a delle donne straordinarie che hanno tentato di trasformare il loro indescrivibile dolore per la perdita di un figlio in lotta e in impegno verso chi sta vivendo il loro stesso dramma. Insieme a chi ha resistito cercando di mostrare al mondo un’altra faccia di questi territori lavorando ad un modello di sviluppo, anche nel mondo agricolo alternativo. Penso infatti ai tanti amici che lavorano sui beni confiscati alla camorra, magari a quegli stessi mafiosi che hanno contribuito a deturpare parte di questa terra e che ora vengono usati per produrre prodotti di eccellenza grazie al lavoro di persone svantaggiate. Ma penso anche ai tanti amici contadini che hanno resistito alla crisi e non hanno mai svenduto i loro terreni per farne una discarica ma hanno continuato a lavorare dall’alba al tramonto ogni santo giorno per restituire alla collettività prodotti sani e buoni come solo la mia terra sa offrire. Il progetto si divid in quattro sezioni, Una dedicata alla parte strettamente ambientale, una dedicata alle mamme coraggio e alle altre vittime che hanno deciso di lasciare le loro testimonianze per amore della causa, una dedicata alla mia gente che resiste e una dedicata alla bellezza e all’altra faccia di questi territori. Mauro Pagnano